Quanto ad opzione donna, che attualmente richiede 58 anni d’età nel caso di lavoratrici dipendenti e 59 anni anni per le autonome e in entrambi i casi un’anzianità contributiva di almeno 35 anni, potrebbe tenere conto anche dei casi di part time verticale (cioè, quando l’attività lavorativa è svolta a tempo pieno ma limitatamente a periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno).
La prossima manovra, inoltre, mira a favorire l’occupazione attraverso meccanismi di staffetta generazionale, magari estendendo i contratti di solidarietà espansiva, che hanno la finalità di agevolare nuove assunzioni nel caso di aziende in espansione, ad imprese anche con meno di mille dipendenti. Non è escluso, inoltre, che possano essere reintrodotte l’ape aziendale (esodo condiviso con il datore di lavoro) e l’ape volontario (l’anticipo autofinanziato), che richiedevano un’età anagrafica di 63 anni e 20 anni di contributi.
Per quanto riguarda, però, una riforma previdenziale mirata soprattutto a superare Quota 100 e il cosiddetto scalone di cinque anni per il pensionamento, bisogna attendere il prossimo anno. A riguardo, il confronto tra governo e sindacati è previsto per il prossimo 16 settembre.
Una proposta su cui si ritroveranno a discutere è quella di un possibile pensionamento base a 62 anni o 63 anni d’età e un’anzianità contributiva di 38 o 36 anni. Il tutto, però, con una penalizzazione dell’assegno pensionistico tra il 2,8% e il 3% per ogni anno di anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia (attuali 67 anni).
Due i problemi da affrontare: costi e adattamento alla speranza di vita
Una misura di pensionamento flessibile e anticipata richiede innanzitutto le risorse finanziare necessarie, ma da questo punto di vista, come riportato dal Sole 24 Ore, il tutto dovrebbe essere agevolato dal risparmio di tre o quattro miliardi dovuti alla scadenza di Quota 100. Rispetto all’adeguamento automatico all’aspettativa di vita per le pensioni anticipate sarà più complicato dal momento che attualmente risulta bloccato fino al 2026.
Quota 41 e pensione di garanzia giovani
Tra le altre misure che i sindacati metteranno sul tavolo della trattativa, resta l’originaria proposta di una pensione anticipata con quota 41, che però è stata già preannunciata come esclusa, che richiederebbe per disoccupati, invalidi, caregiver, lavori usuranti e lavori gravosi 41 anni di contributi (di cui almeno uno riferibile ad un periodo precedente al compimento del diciannovesimo anno di età).
Un’altra misura infine, ritenuta fondamentale anche dal governo, è la cosiddetta pensione di garanzia per i giovani, cioè coloro che hanno iniziato a lavorare a partire dal 1996 e interessati da un lato da un sistema contributivo puro e dall’altro da carriere discontinue. Con una soglia di pensione minima di partenza, questa misura dovrebbe garantire un assegno commisurato non solo ai contributi versati realmente ma integrato con dei contributi figurativi, volti a coprire periodi periodi di discontinuità lavorativa, compresi quelli di disoccupazione involontaria e di cura familiare, nonché i periodi di basse retribuzioni, di formazione e riqualificazione.
L’importanza della pensione di scorta grazie al fondo pensione integrativo
Resta fermo che, soprattutto per i giovani, sia fondamentale costruirsi una pensione di scorta aderendo ad un fondo pensione integrativo da affiancare alla pensione pubblica.
Oltre ad essere uno strumento di risparmio vantaggioso e estremamente tutelato, grazie al tempo disposizione e alla costanza consente di accantonare anche somme rilevanti con piccoli versamenti, oltretutto deducibili fiscalmente ogni anno. Resta inoltre aperta la strada del conferimento del TFR nel fondo pensione, scelta molto più conveniente per il dipendente rispetto al lasciarlo in azienda, nonché la possibilità per genitori e nonni di aiutare figli e nipoti, siano essi fiscalmente a carico o meno: un regalo decisamente prezioso per il loro futuro.