In vista della graduale riapertura del nostro Paese a seguito dell’emergenza che lo ha colpito ci troviamo a vivere una nuova quotidianità nonché a introdurre nuove abitudini sociali e lavorative. In questa seconda intervista alla Dott.ssa Antonella Pasqualini vogliamo analizzare e comprendere le possibili ripercussioni che la crisi ha e avrà sul nostro quotidiano e sulla nostra psiche.
La Dott.ssa Pasqualini è psicologa, psicoterapeuta e psicotraumatologa, laureata all’Università degli Studi di Milano e socio ordinario dello Studio Associato A.R.P di Milano è specializzata in psicologia clinica, psicoterapia del bambino e dell’adolescente. La sua formazione si è arricchita negli anni con la terapia sistemico-relazionale e la psicoterapia sensomotoria. La dott.ssa Pasqualini si occupa della diagnosi e della cura dei disturbi della prima infanzia, dell’età evolutiva e delle relazioni familiari, oltre che della diagnosi e della cura del trauma psicologico.
La routine giornaliera è cambiata, forzatamente: media monotematici e privazione della libertà. In tutto questo il web e i social hanno inevitabilmente assunto un ruolo cruciale nella vita delle persone che se ne servono per tenersi informati e aggiornati, ma al contempo per condividere il proprio stato d’animo, i pensieri e, soprattutto, per restare in contatto con gli amici e i cari. Ritiene che questi strumenti possano colmare il naturale bisogno di contatto sociale o, a lungo andare, si rischia di arrivare ad una sorta di alienazione?
Certamente sono stati e sono ancora un validissimo aiuto, che ci consente di lavorare e di tenerci in contatto. Credo anche che l’uso di questi strumenti verrà mantenuto anche dopo la fase acuta dell’emergenza ma non penso che questi possano colmare il nostro bisogno naturale di contatto sociale, di cui una parte importante avviene attraverso il corpo e la fisicità. Proprio questa parte fondamentale della comunicazione è stata obbligatoriamente “demonizzata” e resa inattiva da questo virus che ci ha obbligati a non poter usare una delle nostre risorse fondamentali: il contatto fisico. Questa importante limitazione è fonte a sua volta di stress e di allarme per molte persone che si calmano principalmente attraverso questo canale, come accade anche ai bambini.
A proposito di contatto sociale, ritiene che, una volta terminato il periodo di crisi le persone correranno a riabbracciarsi oppure permarrà un certo timore nel riprendere il contatto fisico?
In primo luogo dipende dalla cultura di appartenenza: ci sono culture come quelle nordiche in cui il contatto fisico è meno presente e si rimane più distanti fisicamente diversamente da quello che accade nelle culture latine in cui la vicinanza fisica è parte della comunicazione sociale e della consuetudine. D’altra parte la paura e l’allarme elevato di questo periodo, renderanno non immediata la ripresa di un contatto più ravvicinato anche in contesti in cui questo era un’abitudine consolidata. Le persone, dopo quasi 2 mesi di isolamento, potranno avere paura e sentirsi smarrite nell’uscire e nel riprendere gradualmente la vita di tutti i giorni e questo sia perchè c’è ancora poca garanzia che il contagio non si rialzi velocemente, sia perché gli studi ci dicono che la quarantena ha sul lungo termine, pesanti ricadute psicologiche. Credo che la paura e la diffidenza si manterranno per un bel po’ di tempo e questo avrà un impatto non indifferente sulle relazioni intime e sulla comunicazione.
In questi giorni il canale digitale si è dimostrato non solo fondamentale ma anche di grande aiuto per le persone, sia da un punto di vista lavorativo che di supporto. Quanto ha giovato nella vita delle persone questa esplosione a 360 gradi del digitale?
Moltissimo direi! E’ stata ed è fondamentale e forse indispensabile nel rendere possibile contatti vietati a causa della paura del contagio come quelli tra le persone ricoverate ed i loro parenti ad es. oppure nel consentire a tantissima gente di continuare a lavorare da remoto evitando la perdita del lavoro ; inoltre ha consentito di rendere la quarantena di persone sole meno alienante e angosciante. D’altra parte quello che sto sperimentando personalmente lavorando con i pazienti in questo assetto è una maggiore stanchezza forse dovuta al contatto parziale (ci si vede solo a metà) della connessione digitale rispetto a quella reale che obbliga ad aumentare l’attenzione per mantenere una connessione più fedele con l’altro. All’opposto, la distanza che il digitale immancabilmente porta con sé nella relazione consente ad una parte di persone di sentirsi “ più al sicuro” proprio per la maggiore distanza e dunque protezione rispetto al timore di una vicinanza fisica sentita come pericolosa.
Quando l’emergenza rientrerà e torneremo alla normalità ritiene che le persone si aspetteranno di proseguire in questa direzione, potendo continuare a fruire di tutto quello di cui hanno bisogno on line (palestra, lezioni, consulenze, concerti…) perchè ormai abituati alla comodità che il canale digitale offre?
Sicuramente molti servizi on line (webinar, seminari, formazioni meetings) si è sperimentato che funzionano molto bene e con un minore dispendio di tempo e di energie. Credo personalmente che molto verrà mantenuto anche dopo con un evidente cambiamento e una ricaduta su alcune categorie professionali. Tuttavia mi auguro che si possa mettere un limite a questa forma di comunicazione: gli essere umani, fin dalla nascita hanno bisogno della dimensione fisica e corporea per svilupparsi.
Mai come in questo momento siamo concentrati sull’”oggi”; secondo lei quando ricominceremo a pianificare a medio lungo termine e quanto è importante ricominciare a farlo?
Una bella domanda! Per pianificare, ossia per usare le nostre funzioni superiori dobbiamo essere e sentirci al sicuro. Se siamo in pericolo o sotto l’effetto di una paura eccessiva funzioneremo in modalità “sopravvivenza” e privati della connessione con le aree superiori del cervello deputate a questa funzione . E’ altrettanto vero d’altra parte che la pianificazione rappresenta una risorsa importante per aumentare il senso di sicurezza e di protezione: dunque una volta raggiunta quella minima sicurezza e stabilizzazione che ci consente di uscire dall’emergenza e dal pericolo, fare progetti per il futuro e potersi proiettare in avanti fa sentire parte di un percorso, oltre a dare un senso ed una direzione alla nostra vita.