Alla luce dell’emergenza che ha colpito il nostro Paese ci siamo ritrovati tutti, da un giorno all’altro, a vivere una quotidianità diversa che, oltre a causare difficoltà a livello organizzativo può avere ripercussioni anche sulla propria psiche.
Per analizzare e comprendere come affrontare al meglio gli effetti dell’attuale emergenza ci siamo rivolti alla Dott.ssa Antonella Pasqualini, psicologa, psicoterapeuta e psicotraumatologa, laureata all’Università degli Studi di Milano e socio ordinario dello Studio Associato A.R.P di Milano è specializzata in psicologia clinica, psicoterapia del bambino e dell’adolescente. La sua formazione si è arricchita negli anni con la terapia sistemico-relazionale e la psicoterapia sensomotoria. La dott.ssa Pasqualini si occupa della diagnosi e della cura dei disturbi della prima infanzia, dell’età evolutiva e delle relazioni familiari, oltre che della diagnosi e della cura del trauma psicologico.
Da qualche settimana a questa parte abbiamo assistito a una graduale e progressiva limitazione delle libertà che accompagnano il nostro quotidiano. A tal proposito è possibile distinguere la popolazione in tre grandi gruppi: chi sta lavorando da casa in modalità smart working, chi continua a uscire e andare a lavorare e infine coloro che hanno dovuto rinunciare allo svolgimento delle proprie attività quotidiane e restano quindi a casa inoccupati. Quali sono le emozioni che emergono in questo momento e quali le difficoltà e frustrazioni che ognuna di queste categorie si trova a dover affrontare?
Direi che le emozioni più frequenti in situazioni di stress come quella che stiamo vivendo con l’emergenza covid19 sono quelle di sentirsi insicuri, vulnerabili, allarmati, angosciati, a tratti impotenti e con scarso o nessun controllo. Il nostro SNA (Sistema Nervoso Autonomo) reagisce in questo modo alla minaccia e al pericolo. All’inizio di una situazione stressante le nostre reazioni emotive sono di iper attivazione: possiamo provare allarme, angoscia, rabbia, eccitazione e solo in una fase successiva compariranno emozioni che vanno verso la ipo-attivazione come l’apatia, la tristezza, la disconnessione e la depressione. Chi continua ad uscire per andare a lavorare come medici, operatori sanitari e commerciali esposti al pubblico è certamente più esposto continuativamente alla paura e allo stress da contagio e dunque sperimenterà ipervigilanza, ansia e angoscia. Chi invece può lavorare da casa potrà sentirsi più difeso e protetto, se pure decisamente più solo e, se condivide con altri uno spazio ristretto, rabbia, insofferenza e irritabilità. Tutt’altra storia riguarda chi si ritrova improvvisamente inoccupato: qui le persone, oltre a sentirsi disperate e angosciate per la mancata sussistenza economica percepiranno anche un senso di vuoto, smarrimento e sentimenti di estraneità.
Quali sono i rischi che, nel lungo periodo, potrebbe produrre questa situazione di incertezza non solo sugli atteggiamenti dei singoli ma in genere sulla società nel suo complesso? Ci sono dei comportamenti da adottare al fine di affrontare lo stress e gestire la paura in modo positivo?
Il prolungarsi di una situazione incertezza si riflette direttamente sul senso di sicurezza di sé e può, a lungo andare, produrre un esaurimento delle risorse e delle energie a disposizione. Per altro la situazione che stiamo tutti vivendo fino ad ora, essendo compatibile con un evento di natura traumatica, ci fa funzionare spesso in modalità “sopravvivenza” come avviene in tutte le situazioni trauma correlate. Cosa accade? Il nostro SNA (Sistema nervoso autonomo) è programmato per rispondere alle situazioni di pericolo. In particolare, il SNS (Sistema nervoso Simpatico), che ne costituisce un ramo, dopo una prima fase di risposte di mobilizzazione e iperattivazione (risposte di attacco, fuga) lascia il passo all’altro importante ramo, il SNP (Sistema nervoso Parasimpatico) che al contrario abbassa e spegne tutte le risposte e le funzioni somatopsichiche (perdita di energie, tristezza e depressione). I rischi che si corrono a livello individuale nel perdurare di una situazione di incertezza sono di vedere messo a repentaglio più profondamente il sentimento di continuità, coesione, sicurezza del sé se non si mettono in essere comportamenti che stabilizzano e se non si lavora sulle risorse. Le risorse sono lo strumento indispensabile a nostra disposizione per ripristinare uno stato di benessere quando si è sotto l’effetto di una situazione traumatica. Un esempio di risorse somatiche sono la respirazione, il movimento e il grounding. I comportamenti che è utile adottare in questi frangenti sono tutti quelli che mantengono e ripristinano nella vita quotidiana abitudini e attività della nostra routine. Un altra importante risorsa è la connessione relazionale che ci consente di condividere emozioni come paura. Lo stress e la paura sono tanto più traumatici se non condivisi con qualcuno.
Alla luce del progresso scientifico e tecnologico cui stiamo assistendo negli ultimi anni nessuno si aspettava di dover affrontare, nel 2020, una pandemia diffusasi a livello globale. Le persone non erano preparate a dover affrontare un “nemico invisibile” che in risposta ha creato una reazione a catena di solidarietà tra le persone. Ritiene che, una volta finita l’emergenza, l’atteggiamento solidale e il ritrovato senso di appartenenza alla comunità permarranno nella coscienza delle persone o andranno perduti?
Ritengo, e me lo auguro proprio, che l’atteggiamento solidale e il ritrovato senso di appartenenza alla comunità permarranno nella coscienza delle persone; tanto più che la connessione relazionale è proprio la risorsa principale, per noi umani, per “curare“ quel senso di incertezza e paura di cui si è parlato. Non scordiamoci che il cervello non si sviluppa senza relazione. Quindi, questo “impensabile“ che è diventato reale, ed è proprio questo a costituire l’aspetto traumatico, segnerà per lungo tempo la nostra società che avrà bisogno anch’essa di una lunghissima fase di stabilizzazione attraverso l’uso di risorse. La “connessione” sociale e la solidarietà sono tra quelle fondamentali.
Stiamo vivendo un periodo che, solo in pochi hanno già in parte sperimentato in passato (nonni e bisnonni). Le persone non sanno come affrontare la situazione, soprattutto perchè non è stato chiaro, fin da subito, cosa stesse succedendo. Come spiegare quindi, anche ai più piccoli e ai giovani, quello che sta accadendo?
Forse, se avessimo potuto prevedere davvero quello che poi è successo non saremmo nella situazione in cui siamo, ossia sotto l’effetto di un evento traumatico di proporzioni così elevate (emergenza pandemia covid 19). Infatti ciò che contraddistingue un evento traumatico è che si pone al di fuori dell’abituale gamma di esperienze e sfida le capacità di ognuno di fronteggiare le situazioni. Come spiegare ai più piccoli quanto sta accadendo? Innanzi tutto i più piccoli hanno bisogno di molta protezione da parte dei grandi visto che non possiedono ancora gli strumenti cognitivi ed emotivi per fronteggiare una situazione così difficile ma ne assorbono tutto l’allarme e le preoccupazioni, oltre a soffrirne essi stessi le conseguenze della restrizione sociale. Certamente dobbiamo spiegare loro quanto sta accadendo usando i canali per loro accessibili come il gioco, il disegno e le fiabe. Ce ne sono di molto carine come “la storia del virus con la corona”, circolata sui social network proprio a questo scopo. Con i ragazzi più grandi si può fare appello al nascente ragionamento riflessivo e magari usare l’aiuto della scienza per spiegare loro quello che sta accadendo, sia nel senso del fenomeno della pandemia sia relativamente alle nostre reazioni alla stessa normalizzandole come fisiologiche.
Nelle prossime settimane proseguiremo il discorso con la psicologa Dott.ssa Pasqualini al fine di analizzare, con uno sguardo rivolto al futuro, l’attuale emergenza e dunque riflettere su ciò che potremmo aspettarci una volta terminata l’emergenza covid-19.