Confermate anche le diverse uscite anticipate, come opzione donna, prorogata per un altro anno (58 anni d’età per lavoratrici dipendenti e 59 anni di età per le autonome e almeno 35 anni di contributi) e quota 100 (62 anni d’età e 38 anni di contributi), che terminerà nel 2021 trattandosi di una misura sperimentale.
Proprio sul punto il governo si interroga su come riformare le pensioni in termini di flessibilità per evitare che alcuni lavoratori si ritrovino davanti a quello che viene definito un vero e proprio scalone di 5 anni e 3 mesi.
Infatti, chi a gennaio 2022 avrà potenzialmente i requisiti per andare in pensione con quota 100, dovrà aspettare il compimento dei 67 anni e 3 mesi richiesti per la pensione di vecchiaia o comunque dei 41/42 anni di contributi e 10 mesi per quella anticipata.
Quota 102 come possibile soluzione?
In particolare, sempre per il Corriere della Sera, il presidente di Itinerari previdenziali Alberto Brambilla propone due modalità per aumentare la flessibilità in uscita garantendo nello stesso tempo la tenuta del sistema:
- prevedendo nuovamente, come già previsto dalla Riforma Dini/Treu, il pensionamento a 64 anni d’età, soggetta ad adeguamento alla speranza di vita e 38 anni di contributi (con non più di due o tre anni di contributi figurativi)
- la seconda modalità sarebbe rappresentata dai fondi di solidarietà ed esubero, che consentono l’accesso al fondo con 5 anni di anticipo rispetto all’età prevista di 67 anni e con 35/36 anni di contribuzione e sostenuti integralmente dalle aziende e dai lavoratori attraverso l’attuale versamento dello 0,30% sui redditi lordi, nonché gestiti in autonomia da imprese e sindacati.
L’uscita anticipata è sostenibile solo con il calcolo contributivo
Ecco la soluzione proposta: consentire un pensionamento anticipato ma con una pensione calcolata interamente con metodo contributivo, come nel caso di opzione donna, in modo tale da garantire al contempo un sistema non solo sostenibile ma anche equo.
Anziché gravare sui conti pubblici, qualora non fosse possibile, viene proposto infine al pari di Brambilla un pensionamento anticipato finanziato privatamente dalle imprese.
Giovani in pensione a 71 anni perché troppo bassa: la pensione integrativa è fondamentale
Se la carriera è frammentata e discontinua, è probabile che l’assegno pensionistico che si ottiene sia al di sotto della soglia per poter accedere alla pensione anticipata contributiva (64 anni d’età anagrafica e 20 anni di contributi) misura prevista appunto per i soli contributivi puri che hanno iniziato a versare contributi dopo il 1995 a patto che la pensione sia pari ad almeno a 2,8 volte quello sociale INPS (attualmente 5.954 euro annui)
In sostanza, se la pensione pubblica è al di sotto dei 1.300 euro al mese il pensionamento resta quello ordinario e nel caso di importi bassi, al di sotto dell’1,5 volte il minimo, la pensione di vecchiaia arriva a 71 anni. Non solo, se il lavoro è saltuario e i redditi sono bassi il pensionamento si prospetta a ben 73 anni come evidenziato in uno studio della Cgil elaborato dell’economista Michele Raitano.
Per tutti i lavoratori e a maggior ragione per i giovani la pensione integrativa è di fondamentale importanza per tutelare il proprio tenore di vita futuro. Aderendo alla previdenza integrativa possono decidere liberamente quanto versare annualmente secondo le proprie possibilità, modificare frequenza e importi in qualsiasi momento e nello stesso tempo, oltre a costruirsi una pensione di scorta, accumulano un capitale di protezione per sé e per la famiglia risparmiando ogni sulle tasse.